A seguito del parere
espresso dall’Associazione Musicisti Italiani di Jazz – Midj riguardo alla vexata quaestio del “DIRITTO DI IMPROVVISAZIONE”,
ed in particolare in riferimento a mie ricerche pubblicate nel saggio “La teoria delle musiche audiotattili e il
diritto d’autore. Una revisione paradigmatica”, di Vincenzo Caporaletti e
Luca Ruggero Jacovella, apparso sulla Rivista di Diritto delle Arti e dello
Spettacolo n. 2/2017, Pm Edizioni,
ritengo di dover replicare a Midj per l’interesse suscitato dalla materia e per
confermare un principio.
Oggetto del dibattito è, comunque, unicamente il “diritto di improvvisazione” (termine che, vedremo, non avrebbe nemmeno ragione di essere, se non per semplificare una specificità) e la sua applicabilità, e non la “Teoria della Formatività Audiotattile”, modello scientifico ormai recepito e studiato nel mondo, ideato dal Prof. Vincenzo Caporaletti, e che in questo dibattito ha costituito esclusivamente la piattaforma generale su cui impostare la discussione comparata tra musicologia e diritto d’autore.
Oggetto del dibattito è, comunque, unicamente il “diritto di improvvisazione” (termine che, vedremo, non avrebbe nemmeno ragione di essere, se non per semplificare una specificità) e la sua applicabilità, e non la “Teoria della Formatività Audiotattile”, modello scientifico ormai recepito e studiato nel mondo, ideato dal Prof. Vincenzo Caporaletti, e che in questo dibattito ha costituito esclusivamente la piattaforma generale su cui impostare la discussione comparata tra musicologia e diritto d’autore.
Formulerò
dei commenti passo per passo:
Midj:
“Il nostro parere sul "diritto di improvvisazione"
“Il nostro parere sul "diritto di improvvisazione"
Letto l’articolo di
Vincenzo Caporaletti e Luca Ruggero Jacovella dal titolo “La teoria delle musiche
audiotattili e il diritto d’autore. Una revisione paradigmatica.” riteniamo di
dover effettuare delle precisazioni in merito al riconoscimento del diritto
d’autore in favore del musicista improvvisatore o più precisamente sul processo
di riconoscimento del diritto di improvvisazione, ad oggi ancora inesistente,
essendo stati chiamati in causa nello stesso articolo ed essendo state
riportate informazioni non veritiere e comunque ancora in via di definizione
e/o perfezionamento. “
LRJ:
Sembra che l’Associazione Musicisti di jazz non sia a conoscenza del fatto che addirittura dall’anno 1865 la legge italiana menzionava la pubblicazione dell’improvvisazione tra i diritti spettanti all’autore (nota 55 a pag. 24 del saggio citato). È una previsione esplicitamente confermata anche nel R.D. del 1925 (“la trascrizione delle improvvisazioni”, verbatim) e poi implicitamente contenuta nella legge tuttora in vigore, la n.633 del 1941. “Le improvvisazioni si dissolvono, dunque, nelle categorie delle opere protette” (A.Giannini, La tutela delle improvvisazioni, in “Il diritto d’autore IDA”, 1951).
La fonte appena citata è particolarmente autorevole perché si tratta di una storica pubblicazione sul diritto edita dalla SIAE stessa. Ciò significa, quindi, che le improvvisazioni sono ovviamente sempre tutelate dalla legge quali opere dell’ingegno (“l’improvvisazione non individua una categoria di opere ma il momento ed il modo della creazione dell’opera”, Giannini 1951). È quindi un’affermazione contraria al dettato legislativo scrivere, come fa Midj, “…processo di riconoscimento del diritto di improvvisazione, ad oggi ancora inesistente”. Se ne traggano le debite conclusioni.
Sembra che l’Associazione Musicisti di jazz non sia a conoscenza del fatto che addirittura dall’anno 1865 la legge italiana menzionava la pubblicazione dell’improvvisazione tra i diritti spettanti all’autore (nota 55 a pag. 24 del saggio citato). È una previsione esplicitamente confermata anche nel R.D. del 1925 (“la trascrizione delle improvvisazioni”, verbatim) e poi implicitamente contenuta nella legge tuttora in vigore, la n.633 del 1941. “Le improvvisazioni si dissolvono, dunque, nelle categorie delle opere protette” (A.Giannini, La tutela delle improvvisazioni, in “Il diritto d’autore IDA”, 1951).
La fonte appena citata è particolarmente autorevole perché si tratta di una storica pubblicazione sul diritto edita dalla SIAE stessa. Ciò significa, quindi, che le improvvisazioni sono ovviamente sempre tutelate dalla legge quali opere dell’ingegno (“l’improvvisazione non individua una categoria di opere ma il momento ed il modo della creazione dell’opera”, Giannini 1951). È quindi un’affermazione contraria al dettato legislativo scrivere, come fa Midj, “…processo di riconoscimento del diritto di improvvisazione, ad oggi ancora inesistente”. Se ne traggano le debite conclusioni.
Midj:
“In primo luogo, come associazione, riteniamo di dover sollevare un piccolo appunto critico su quanto sostenuto nell’articolo e di evidenziare delle inesattezze. Ciò per evitare di creare falsi presupposti e/o stimolare attività che nulla hanno a che vedere con il riconoscimento del cosiddetto “diritto di improvvisazione”.
Recentemente la Siae ha offerto la possibilità, per i propri associati e mandanti, di effettuare il deposito delle loro opere da affidare in tutela a mezzo della registrazione fonografica.
In altri termini, l’autore che intende affidare alla Siae un’opera tutelabile, secondo la previsione del combinato disposto di cui agli art.li 2,3 e 4 della legge sul diritto d’autore, oltre al deposito tradizionale in formato cartaceo può optare per il deposito del brano in formato digitale.
Questa modalità è stata introdotta per semplificare il deposito delle opere e non per altre finalità.
L’interpretazione suggerita dagli autori dell’articolo, qui riprodotto in stralcio (1), attribuisce alla modalità digitale introdotta una sorta di riconoscimento e tutela di una registrazione fonografica, sia essa improvvisazione e/o opera creata estemporaneamente.
In altre parole gli autori del saggio sembrano affermare che la Siae, con tale metodologia, abbia formalmente riconosciuto il diritto d’autore per le musiche improvvisate che siano cristallizzate nella registrazione digitale ma così non è.
La Siae, almeno fino ad oggi, non ha riconosciuto né formalmente né in via di fatto alcun “diritto di improvvisazione”.
La modalità del deposito dell’opera in formato digitale è meramente “alternativa” a quella cartacea e mai potrebbe portare ai risultati a cui invece si giunge nel saggio.”
“In primo luogo, come associazione, riteniamo di dover sollevare un piccolo appunto critico su quanto sostenuto nell’articolo e di evidenziare delle inesattezze. Ciò per evitare di creare falsi presupposti e/o stimolare attività che nulla hanno a che vedere con il riconoscimento del cosiddetto “diritto di improvvisazione”.
Recentemente la Siae ha offerto la possibilità, per i propri associati e mandanti, di effettuare il deposito delle loro opere da affidare in tutela a mezzo della registrazione fonografica.
In altri termini, l’autore che intende affidare alla Siae un’opera tutelabile, secondo la previsione del combinato disposto di cui agli art.li 2,3 e 4 della legge sul diritto d’autore, oltre al deposito tradizionale in formato cartaceo può optare per il deposito del brano in formato digitale.
Questa modalità è stata introdotta per semplificare il deposito delle opere e non per altre finalità.
L’interpretazione suggerita dagli autori dell’articolo, qui riprodotto in stralcio (1), attribuisce alla modalità digitale introdotta una sorta di riconoscimento e tutela di una registrazione fonografica, sia essa improvvisazione e/o opera creata estemporaneamente.
In altre parole gli autori del saggio sembrano affermare che la Siae, con tale metodologia, abbia formalmente riconosciuto il diritto d’autore per le musiche improvvisate che siano cristallizzate nella registrazione digitale ma così non è.
La Siae, almeno fino ad oggi, non ha riconosciuto né formalmente né in via di fatto alcun “diritto di improvvisazione”.
La modalità del deposito dell’opera in formato digitale è meramente “alternativa” a quella cartacea e mai potrebbe portare ai risultati a cui invece si giunge nel saggio.”
LRJ:
La modalità del deposito di opere a mezzo della registrazione fonografica, novità introdotta dalla SIAE nel dicembre 2016, rappresenta una vera e propria “rivoluzione copernicana”, ed è incomprensibile come in questa discussione venga banalizzata e sottostimata.
Posto che qualsiasi invenzione, nata per un determinato intento, possa poi essere utilizzata al di là delle originarie finalità (pensiamo a internet, nato solo come protocollo di comunicazione militare; alla tecnologia blockchain, nata per le cryptovalute e oggi già impiegata per innumerevoli finalità tra cui anche la raccolta dei diritti d’autore, ecc.), bisogna notare che il nuovo Regolamento Generale Siae, del quale la nuova modalità di deposito opere è diretta emanazione (art. 33 c.4), per quanto attiene alla modalità telematica rovescia totalmente il paradigma precedente.
Prima del dicembre 2016 la musica “altra” (leggera, jazz, ecc.) era comunque considerata trascrivibile, e perciò veniva reso obbligatorio depositare l’opera trascritta su pentagramma, mentre la musica classificata come “seria” (musica da camera, sinfonica, musica concreta ed elettronica) godeva di eccezioni, per cui era consentito il deposito a mezzo della registrazione audio. A seguito della intervenuta novità, per la (sola) procedura online è ora finalmente previsto l’esatto contrario! Ovvero, le musiche “altre” (scientificamente classificabili come “musiche audiotattili”) possono essere depositate anche solo per tramite della loro registrazione sonora, mentre la musica “seria” (terminologia in uso Siae, derivante da Adorno) richiede obbligatoriamente la partitura tradizionale. Così com’è più razionale che sia, sulla base dei processi formativi ampiamente descritti nella “Teoria audiotattile” alla quale si fa riferimento.
Abbiamo assistito, dunque, ad un netto cambio di scena (specifica riforma regolamentaria), verificandosi esattamente ciò che il sottoscritto aveva richiesto alla Siae attraverso un appello pubblico diffuso nel 2013 (appello, peraltro, controfirmato da centinaia di artisti, tra cui la prima Presidente Midj, Ada Montellanico, con firma apposta in data 13.01.2014).
Nel dicembre 2016, finalmente, si è passati dalla generica tutela di legge per le improvvisazioni (quali opere dell’ingegno da individuarsi tra le categorie di opere protette) ad una possibilità concreta: poter ritualmente depositare un’opera creata durante la performance stessa attraverso la sua registrazione sonora, maturandone il relativo diritto d’autore.
“La Siae, almeno fino ad oggi, non ha riconosciuto né formalmente né in via di fatto alcun “diritto di improvvisazione”, afferma Midj, ma, come ho dimostrato nel paragrafo precedente, il diritto dell’autore che improvvisa è da sempre già riconosciuto (ed ora concretamente attuabile). La Siae non deve riconoscere altro, a livello di diritto d’autore (fermo restando che è, però, facoltà dell’ente stesso elargire maggiorazioni o provvidenze speciali a talune categorie).
Questa importante e paradigmatica novità non circoscrive il campo di applicazione al jazz e alle musiche improvvisate, ma si immaginino le possibilità che apre anche alla world music, nella nostra società sempre più multietnica…
La modalità del deposito di opere a mezzo della registrazione fonografica, novità introdotta dalla SIAE nel dicembre 2016, rappresenta una vera e propria “rivoluzione copernicana”, ed è incomprensibile come in questa discussione venga banalizzata e sottostimata.
Posto che qualsiasi invenzione, nata per un determinato intento, possa poi essere utilizzata al di là delle originarie finalità (pensiamo a internet, nato solo come protocollo di comunicazione militare; alla tecnologia blockchain, nata per le cryptovalute e oggi già impiegata per innumerevoli finalità tra cui anche la raccolta dei diritti d’autore, ecc.), bisogna notare che il nuovo Regolamento Generale Siae, del quale la nuova modalità di deposito opere è diretta emanazione (art. 33 c.4), per quanto attiene alla modalità telematica rovescia totalmente il paradigma precedente.
Prima del dicembre 2016 la musica “altra” (leggera, jazz, ecc.) era comunque considerata trascrivibile, e perciò veniva reso obbligatorio depositare l’opera trascritta su pentagramma, mentre la musica classificata come “seria” (musica da camera, sinfonica, musica concreta ed elettronica) godeva di eccezioni, per cui era consentito il deposito a mezzo della registrazione audio. A seguito della intervenuta novità, per la (sola) procedura online è ora finalmente previsto l’esatto contrario! Ovvero, le musiche “altre” (scientificamente classificabili come “musiche audiotattili”) possono essere depositate anche solo per tramite della loro registrazione sonora, mentre la musica “seria” (terminologia in uso Siae, derivante da Adorno) richiede obbligatoriamente la partitura tradizionale. Così com’è più razionale che sia, sulla base dei processi formativi ampiamente descritti nella “Teoria audiotattile” alla quale si fa riferimento.
Abbiamo assistito, dunque, ad un netto cambio di scena (specifica riforma regolamentaria), verificandosi esattamente ciò che il sottoscritto aveva richiesto alla Siae attraverso un appello pubblico diffuso nel 2013 (appello, peraltro, controfirmato da centinaia di artisti, tra cui la prima Presidente Midj, Ada Montellanico, con firma apposta in data 13.01.2014).
Nel dicembre 2016, finalmente, si è passati dalla generica tutela di legge per le improvvisazioni (quali opere dell’ingegno da individuarsi tra le categorie di opere protette) ad una possibilità concreta: poter ritualmente depositare un’opera creata durante la performance stessa attraverso la sua registrazione sonora, maturandone il relativo diritto d’autore.
“La Siae, almeno fino ad oggi, non ha riconosciuto né formalmente né in via di fatto alcun “diritto di improvvisazione”, afferma Midj, ma, come ho dimostrato nel paragrafo precedente, il diritto dell’autore che improvvisa è da sempre già riconosciuto (ed ora concretamente attuabile). La Siae non deve riconoscere altro, a livello di diritto d’autore (fermo restando che è, però, facoltà dell’ente stesso elargire maggiorazioni o provvidenze speciali a talune categorie).
Questa importante e paradigmatica novità non circoscrive il campo di applicazione al jazz e alle musiche improvvisate, ma si immaginino le possibilità che apre anche alla world music, nella nostra società sempre più multietnica…
Midj: “E così per verificare se l’interpretazione fornita dagli autori del saggio possa avere un fondamento – e quindi possa essere legittima l’utilizzazione del deposito digitale per la musica improvvisata – e, di contro, per verificare se sussistono i presupposti perché di tale pratica possa essere fatto un utilizzo illegale, occorre innanzitutto effettuare una ricostruzione in termini prettamente giuridici.
La musica totalmente improvvisata o più semplicemente la musica avente carattere creativo istantaneo potrebbe essere astrattamente ritenuta tutelabile dal diritto d’autore in quanto avente le caratteristiche di cui all’art. 1 legge autore e come tale, il suo autore potrebbe affidare alla Siae il mandato per la tutela prevista dalla legge sul diritto d’autore.
Tuttavia, proprio per il suo carattere totalmente improvvisato, difficilmente il brano potrebbe essere riprodotto una seconda/terza volta; con la conseguenza che la tutela potrebbe non essere di fatto praticabile e, quindi, potrebbe esaurirsi nell’unica volta in cui il brano è stato suonato e registrato (ad esempio in occasione di un concerto).
Questo non può essere considerato un riconoscimento alla musica improvvisata ma più semplicemente il riconoscimento del diritto d’autore di un’opera totalmente improvvisata.
Affermare che, tramite il deposito in formato digitale dell’improvvisazione, la Siae riconosca, tuteli e ricompensi gli autori della musica improvvisata porta fuori strada ed ha come unica conseguenza quella di avallare il deposito digitale di ogni brano improvvisato durante un concerto al solo fine di incassare il relativo emolumento economico per l’esecuzione.
Il brano improvvisato, si chiarisce, viene trattato al pari di un opera tutelata dal diritto di autore e per questo si matura il relativo diritto di pubblica esecuzione ma è e sarà solo per una volta.
È facilmente intuibile che l’improvvisazione all’interno di uno stesso brano sarà diversa ogni volta che la si suona. Interpretare il deposito digitale come legittimazione del diritto di improvvisazione produrrebbe esclusivamente un continuo ricorso allo strumento del deposito – anche a breve distanza di tempo – per la maturazione di un solo emolumento economico – quello corrispondente alla esecuzione/registrazione del concerto. Ogni improvvisazione, anche di uno stesso brano, dovrebbe essere registrata perché, per ovvie ragioni, completamente diversa dalla precedente.
Ipotizzando invece che la registrazione dell’improvvisazione ed il contestuale deposito in formato digitale, attribuisca il diritto/ emolumento anche per le future esecuzioni improvvisate senza che sia necessario effettuare ulteriori depositi delle registrazioni (ad esempio ogni volta che eseguo un blues in F, nel programma di sala indico il brano registrato in precedenza), ci si ritroverebbe di fronte ad una dichiarazione infedele del programma di sala, con conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie ed, in caso di reiterazione, l’apertura di un procedimento disciplinare.”
LRJ:
In questo passaggio, Midj, contrariamente a quanto asserito all’inizio, afferma che la musica improvvisata “potrebbe essere astrattamente ritenuta tutelabile dal diritto d’autore”. Abbiamo visto, invece, come la tutela non sia affatto “astratta”: non solo è stata contemplata da sempre, pur genericamente, ma, ora, essa è divenuta concretamente attuabile. Tuttavia, Midj pone il problema, oggettivamente esistente, della ripetibilità o meno dell’improvvisazione. E’ utile sapere, a tal fine, che l’intera storia del jazz abbonda di casi di improvvisazioni preparate, o riutilizzate, o riadattate per far nascere nuove opere e canzoni con testo (per questo fenomeno, André Hodeir coniò nel 1953 la denominazione di “improvvisazione simulata”, componendo anche un lavoro jazzistico, Anna Livia Plurabelle, in cui ne dà dimostrazione; vi sono centinaia di studi in merito, tra cui pionieristico quello di W. Knauer, "Simulated Improvisation" in Duke Ellington's "Black, Brown and Beige" o quelli ormai classici di Vincenzo Caporaletti sui breaks di Charlie Parker in “Night In Tunisia”). Si tratta dunque di feconde e libere scelte espressive e performative degli artisti, che comunque contrastano totalmente con le affermazioni dogmatiche del testo in esame.
C’è da dire, anche, che non si tiene conto dell’uso massivo della registrazione video-sonora, addirittura trasmessa in diretta social, effettuata dal pubblico stesso (la riproducibilità tecnica).
La tutela delle nostre più rappresentative opere improvvisate, non ha, dunque, solo la finalità di maturare una parte dei diritti d’autore legittimamente spettanti per la creazione intellettuale e il suo contestuale sfruttamento durante le pubbliche esecuzioni, ma anche quella della tutela vera e propria (prova di paternità) nei confronti di appropriazioni indebite e di utilizzazioni non autorizzate (mi preme ricordare la disinibita prassi social-web della condivisione di contenuti protetti e non su qualsiasi piattaforma e con potenziali infiniti fruitori).
In questo passaggio, Midj, contrariamente a quanto asserito all’inizio, afferma che la musica improvvisata “potrebbe essere astrattamente ritenuta tutelabile dal diritto d’autore”. Abbiamo visto, invece, come la tutela non sia affatto “astratta”: non solo è stata contemplata da sempre, pur genericamente, ma, ora, essa è divenuta concretamente attuabile. Tuttavia, Midj pone il problema, oggettivamente esistente, della ripetibilità o meno dell’improvvisazione. E’ utile sapere, a tal fine, che l’intera storia del jazz abbonda di casi di improvvisazioni preparate, o riutilizzate, o riadattate per far nascere nuove opere e canzoni con testo (per questo fenomeno, André Hodeir coniò nel 1953 la denominazione di “improvvisazione simulata”, componendo anche un lavoro jazzistico, Anna Livia Plurabelle, in cui ne dà dimostrazione; vi sono centinaia di studi in merito, tra cui pionieristico quello di W. Knauer, "Simulated Improvisation" in Duke Ellington's "Black, Brown and Beige" o quelli ormai classici di Vincenzo Caporaletti sui breaks di Charlie Parker in “Night In Tunisia”). Si tratta dunque di feconde e libere scelte espressive e performative degli artisti, che comunque contrastano totalmente con le affermazioni dogmatiche del testo in esame.
C’è da dire, anche, che non si tiene conto dell’uso massivo della registrazione video-sonora, addirittura trasmessa in diretta social, effettuata dal pubblico stesso (la riproducibilità tecnica).
La tutela delle nostre più rappresentative opere improvvisate, non ha, dunque, solo la finalità di maturare una parte dei diritti d’autore legittimamente spettanti per la creazione intellettuale e il suo contestuale sfruttamento durante le pubbliche esecuzioni, ma anche quella della tutela vera e propria (prova di paternità) nei confronti di appropriazioni indebite e di utilizzazioni non autorizzate (mi preme ricordare la disinibita prassi social-web della condivisione di contenuti protetti e non su qualsiasi piattaforma e con potenziali infiniti fruitori).
Midj:
“Quanto riferito potrebbe valere solo per le musiche totalmente improvvisate perché per le improvvisazioni eseguite dopo l’esposizione del tema (come nella esecuzione jazzistica) non potrebbe comunque esserci alcuna tutela, a meno che non si commetta un illegittima/illecita attribuzione di opera.
Come avviene nella musica jazz, infatti, l’improvvisazione che segue l’esposizione del tema/standard è sempre frutto dell’opera creativa dell’esecutore ma la legge non appresta alcuna tutela come opera originale in quanto andrebbe a pregiudicare i diritti dell’autore dell’opera da cui l’improvvisatore ha preso spunto (tema dello standard e sequenza armonica). Per essere estremamente pratici, nella registrazione di un concerto live, nella fase di deposito del brano in formato digitale non potrò eliminare il tema eseguito – sicuramente di altro autore – lasciando la sola improvvisazione di cui effettivamente ne sono l’autore.
In tal caso commetterei un illecito civile perseguibile anche sotto il profilo penale.
Da quanto appena esposto si deduce l’impossibilità giuridica di ritenere che, con l’introduzione della modalità digitale delle opere tutelate dal diritto d’autore, la Siae abbia riconosciuto il diritto di improvvisazione. “
“Quanto riferito potrebbe valere solo per le musiche totalmente improvvisate perché per le improvvisazioni eseguite dopo l’esposizione del tema (come nella esecuzione jazzistica) non potrebbe comunque esserci alcuna tutela, a meno che non si commetta un illegittima/illecita attribuzione di opera.
Come avviene nella musica jazz, infatti, l’improvvisazione che segue l’esposizione del tema/standard è sempre frutto dell’opera creativa dell’esecutore ma la legge non appresta alcuna tutela come opera originale in quanto andrebbe a pregiudicare i diritti dell’autore dell’opera da cui l’improvvisatore ha preso spunto (tema dello standard e sequenza armonica). Per essere estremamente pratici, nella registrazione di un concerto live, nella fase di deposito del brano in formato digitale non potrò eliminare il tema eseguito – sicuramente di altro autore – lasciando la sola improvvisazione di cui effettivamente ne sono l’autore.
In tal caso commetterei un illecito civile perseguibile anche sotto il profilo penale.
Da quanto appena esposto si deduce l’impossibilità giuridica di ritenere che, con l’introduzione della modalità digitale delle opere tutelate dal diritto d’autore, la Siae abbia riconosciuto il diritto di improvvisazione. “
LRJ:
Queste affermazioni non sembrano disporre di alcun riferimento normativo.
E’ invece proprio la Siae ad affermare l’esatto contrario, attraverso l’articolo scritto da Gaia Mari del Centro Studi Giuridici Siae su Vivaverdi del 2007 n. 85. Cito testualmente:
“La Sezione Musica della Siae accetta, in ogni caso, in deposito le improvvisazioni jazz ritualmente dichiarate e prodotte che vengono, solitamente, indicate nell’ambito del repertorio del rispettivo autore con numeri progressivi (ad es: “Improvvisazione 15”) senza, ovviamente, alcun riferimento all’opera originale dalla quale hanno tratto spunto. All’atto dell’accettazione in deposito gli Uffici della Siae, ovviamente, non procedono ad alcuna verifica di merito di talché l’avvenuto deposito dell’opera presso la Siae sarebbe del tutto ininfluente nel caso in cui venisse successivamente contestata l’originalità dell’improvvisazione jazz rispetto all’opera base.”
Il problema dell’originalità è il vero ed unico nocciolo della questione, ma la determinazione della presenza o meno di un quid novi, richiesto dalla legge a tutela delle opere dell’ingegno (e pur sempre in senso soggettivo), spetta unicamente al Giudice in caso di procedimento giudiziale (se ne parla infatti sempre nei casi di plagio), e non alla Siae. E’, tuttavia, una questione che attiene alla moralità dell’autore: come nella composizione scritta, anche nell’improvvisazione si possono prescegliere e affidare alla tutela di una società di collecting le opere che al meglio rappresentano la propria cifra creativa. Anzi, è proprio attraverso l’editing e la reversibilità temporale esercitabile a mezzo del fonogramma sul quale è fissata l’opera improvvisata che la stessa acquisisce il medesimo statuto ontologico dell’opera composta (come dimostra il concetto di “codifica neo-auratica secondaria” elaborato da V. Caporaletti)..
Peraltro, la prassi tema/soli/tema, da Midj individuata quasi come un feticcio, è solo una tra le infinite e caleidoscopiche strategie espressive adottate dalla creative music.
Queste affermazioni non sembrano disporre di alcun riferimento normativo.
E’ invece proprio la Siae ad affermare l’esatto contrario, attraverso l’articolo scritto da Gaia Mari del Centro Studi Giuridici Siae su Vivaverdi del 2007 n. 85. Cito testualmente:
“La Sezione Musica della Siae accetta, in ogni caso, in deposito le improvvisazioni jazz ritualmente dichiarate e prodotte che vengono, solitamente, indicate nell’ambito del repertorio del rispettivo autore con numeri progressivi (ad es: “Improvvisazione 15”) senza, ovviamente, alcun riferimento all’opera originale dalla quale hanno tratto spunto. All’atto dell’accettazione in deposito gli Uffici della Siae, ovviamente, non procedono ad alcuna verifica di merito di talché l’avvenuto deposito dell’opera presso la Siae sarebbe del tutto ininfluente nel caso in cui venisse successivamente contestata l’originalità dell’improvvisazione jazz rispetto all’opera base.”
Il problema dell’originalità è il vero ed unico nocciolo della questione, ma la determinazione della presenza o meno di un quid novi, richiesto dalla legge a tutela delle opere dell’ingegno (e pur sempre in senso soggettivo), spetta unicamente al Giudice in caso di procedimento giudiziale (se ne parla infatti sempre nei casi di plagio), e non alla Siae. E’, tuttavia, una questione che attiene alla moralità dell’autore: come nella composizione scritta, anche nell’improvvisazione si possono prescegliere e affidare alla tutela di una società di collecting le opere che al meglio rappresentano la propria cifra creativa. Anzi, è proprio attraverso l’editing e la reversibilità temporale esercitabile a mezzo del fonogramma sul quale è fissata l’opera improvvisata che la stessa acquisisce il medesimo statuto ontologico dell’opera composta (come dimostra il concetto di “codifica neo-auratica secondaria” elaborato da V. Caporaletti)..
Peraltro, la prassi tema/soli/tema, da Midj individuata quasi come un feticcio, è solo una tra le infinite e caleidoscopiche strategie espressive adottate dalla creative music.
Midj: “Sotto il profilo squisitamente tecnico ed in base alla vigente normativa, non è possibile poter ritenere riconosciuta l’improvvisazione al pari di una vera e propria opera dell’ingegno, almeno per l’improvvisazione intesa nel senso jazzistico; occorrerebbe una norma ad hoc che possa integrare gli art.li 1,2, e 4 della legge sul diritto d’autore (2).
Di qui la necessità, nella speranza di un intervento legislativo, di intervenire sulla normativa attuale al fine di ottenere una sorta di riconoscimento dell’improvvisazione jazz utilizzando il modello francese in vigore da oltre un ventennio.
Midj, espressione e portatore di interessi dei musicisti di jazz, ha affrontato il problema senza suggerire sotterfugi e/o espedienti per ottenere il riconoscimento economico di fatto dell’improvvisazione, chiedendo alla Siae l’apertura di un tavolo di confronto per ottenere il riconoscimento del diritto di improvvisazione jazz passando prima per il riconoscimento della categoria dell’improvvisatore (al momento unica possibile).
Al pari del modello francese si chiede alla Siae di riconoscere un’ulteriore categoria di associati cui apprestare tutela ed elargire indennità economiche: quella degli improvvisatori.
Se non sarà possibile ottenere un intervento legislativo (se ne parla da un ventennio senza alcun risultato) che possa riconoscere il diritto di improvvisazione e cioè riconoscere l’improvvisazione al pari di una vera e propria opera dell’ingegno, sarà allora proficuo spostare l’attenzione sulla persona dell’improvvisatore, attribuendo allo stesso, invece che alla sua opera, un’indennità economica ogni volta che in cui improvvisa.
MIDJ
Il Presidente Simone Graziano
Il Vicepresidente Giovanni Taglialatela”
LRJ:
Qui purtroppo siamo di fronte ad un esempio di autoflagellazione. Vi è l’inspiegabile e tendenzialmente masochistica negazione della sussistenza di un diritto di cui, come ho dimostrato all’inizio, è del tutto già acclarata l’esistenza, ribadita da autorevoli fonti contenute nelle pubblicazioni giuridiche della Siae stessa. A fronte di tale capziosa e infondata premessa, poi, vi è l’invocazione da parte di MIdj di un fantomatico e inopinato “intervento legislativo” . Devo dire, con l’esperienza che mi deriva da anni di studio di questa materia, che tutto ciò mi sembra assai improduttivo, anche perché, repetita iuvant, non vi è alcun bisogno di un intervento legislativo per un diritto già riconosciuto.
Giungiamo infine all’altro nocciolo della questione, che è il modello Sacem (“riconoscere una indennità economica ogni volta che si improvvisa”, scrive Midj anche se poco prima compare antiteticamente: “senza suggerire sotterfugi e/o espedienti per ottenere il riconoscimento economico di fatto dell’improvvisazione”).
Tale modello prevede la costituzione di un registro speciale di improvvisatori accreditati (solo di jazz!) che andrebbero a percepire una indennità economica (una “provvidenza”, un “bonus”, non il diritto d’autore – non essendoci individuazione di un’opera) ogni qual volta essi dichiarassero di aver improvvisato: Che l’improvvisazione avvenga, non avvenga, o avvenga con contributi “ipercodificati” (Il termine è di Caporaletti) e quindi non originali, non sarà mai dato sapere.
Questa è certamente un’ulteriore via possibile, con tutte le perplessità e le zone d’ombra che porterebbe con sé. Ma questo sistema è ALTRO rispetto al concetto di diritto d’autore sulle opere dell’ingegno create ex-tempore. Può anche implementare lo stesso sistema del diritto d’autore, ma non sostituirlo o prenderne a prestito il nome.
Qui purtroppo siamo di fronte ad un esempio di autoflagellazione. Vi è l’inspiegabile e tendenzialmente masochistica negazione della sussistenza di un diritto di cui, come ho dimostrato all’inizio, è del tutto già acclarata l’esistenza, ribadita da autorevoli fonti contenute nelle pubblicazioni giuridiche della Siae stessa. A fronte di tale capziosa e infondata premessa, poi, vi è l’invocazione da parte di MIdj di un fantomatico e inopinato “intervento legislativo” . Devo dire, con l’esperienza che mi deriva da anni di studio di questa materia, che tutto ciò mi sembra assai improduttivo, anche perché, repetita iuvant, non vi è alcun bisogno di un intervento legislativo per un diritto già riconosciuto.
Giungiamo infine all’altro nocciolo della questione, che è il modello Sacem (“riconoscere una indennità economica ogni volta che si improvvisa”, scrive Midj anche se poco prima compare antiteticamente: “senza suggerire sotterfugi e/o espedienti per ottenere il riconoscimento economico di fatto dell’improvvisazione”).
Tale modello prevede la costituzione di un registro speciale di improvvisatori accreditati (solo di jazz!) che andrebbero a percepire una indennità economica (una “provvidenza”, un “bonus”, non il diritto d’autore – non essendoci individuazione di un’opera) ogni qual volta essi dichiarassero di aver improvvisato: Che l’improvvisazione avvenga, non avvenga, o avvenga con contributi “ipercodificati” (Il termine è di Caporaletti) e quindi non originali, non sarà mai dato sapere.
Questa è certamente un’ulteriore via possibile, con tutte le perplessità e le zone d’ombra che porterebbe con sé. Ma questo sistema è ALTRO rispetto al concetto di diritto d’autore sulle opere dell’ingegno create ex-tempore. Può anche implementare lo stesso sistema del diritto d’autore, ma non sostituirlo o prenderne a prestito il nome.
Il “diritto di improvvisazione”,
dunque, non è altro che una locuzione di comodo per indicare il diritto
riconosciuto all’autore di tutelare le proprie opere improvvisate.
Ed è pienamente esercitabile.
Per ulteriori approfondimenti rimando al saggio pubblicato.